Ricominciamo da quattro

A quattro anni dal sisma arrivano finalmente segnali positivi che potrebbero sbloccare la disarmante lentezza nella ricostruzione. L’analisi della situazione nell’articolo di  Maria Maranò,  Segreteria Nazionale Legambiente 

Quattro gli anniversari da quel tragico e devastante terremoto del 24 agosto 2016, ben quattro i commissari straordinari alla ricostruzione che si sono avvicendati, quattro i governi succeduti. Ad oggi, i numeri del bilancio della ricostruzione sono più che sconfortanti con ricadute pesanti sullo stato d’animo e sul futuro delle comunità colpite.

Eppure, in questo anniversario ci confortano alcuni segnali positivi che dovrebbero far superare lo stallo e la disarmante lentezza della macchina della ricostruzione. Bisogna riconoscere che il lavoro del Commissario Giovanni Legnini, insediato a fine febbraio scorso, sta facendo riaccendere la speranza che possa finalmente esserci un cambio di passo nella ricostruzione. Già nei prossimi mesi verificheremo se il lavoro messo in campo produrrà fatti concreti, tangibili e percepibili dalla popolazione sfiduciata per le ricorrenti promesse non mantenute.

Sembra che si stiano aggiustando i pezzi, e costruendone nuovi, del motore della macchina della ricostruzione. Una macchina progettata male e gestita peggio. La giusta accusa ai tempi della burocrazia è stata utilizzata da troppi come paravento per coprire responsabilità e incapacità politiche e amministrative. Bene fa la Corte dei Conti a definire “scenario avvilente gli intollerabili ritardi per la ricostruzione post sisma” e a indagare per accertare le responsabilità per eventuali danni pubblici. Speriamo che tutto ciò appartenga al passato e che questo anniversario sia l’occasione per rinnovare seriamente l’impegno che lo Stato ha preso con le popolazioni all’indomani del sisma di fare bene e presto.

I segnali positivi che fanno sperare

Il cantiere normativo forse sta per chiudersi, sperando che si determini finalmente un quadro di regole certo ed efficace. In questi anni si è proceduto con continue deroghe, decreti, ordinanze che hanno fatto aumentare la confusione e procurato rallentamenti. Da una nostra analisi dell’andamento dei progetti presentati fino al 2019 si evince che a ogni annuncio di nuove norme e di nuove deroghe si è registrato un calo nella presentazione delle domande. L’ultimo decreto legge approvato a metà agosto contiene un segnale positivo per stabilizzare il personale incaricato a occuparsi di ricostruzione nei Comuni e nelle Strutture regionali. Il continuo turnover, l’incertezza dei contratti precari sono causa non secondaria dei ritardi. Un’opera così grande com’è la ricostruzione nel centro Italia, è banale dirlo, ha bisogno di personale sufficiente, stabile, professionalmente preparato. Inoltre, qualsiasi macchina ha bisogno anche di un bravo pilota e sembra che si voglia e si stia superando l’inadeguatezza dimostrata finora dalla struttura commissariale, che negli anni è stata persino depotenziata nelle professionalità oltre che essere mal gestita. A questi segnali si aggiungono alcuni impegni importanti presi pubblicamente dal Commissario Legnini, come quello di organizzare la struttura per fornire un sostegno ai Comuni, fondamentale considerate le loro dimensioni e le poche risorse di cui dispongono a partire da quelle tecnico-progettuali. È positivo anche l’impegno di attivare entro l’autunno la Piattaforma informatica di monitoraggio dei badge e del settimanale di cantiere che aspettiamo da tempo come strumento per prevenire illegalità nei cantieri e lavoro nero. Infine, la promessa di arrivare a un Testo unico della ricostruzione per mettere ordine nella babele di norme farraginose e contraddittorie e dare certezze ai professionisti, ai cittadini, agli enti locali sul “chi fa
cosa, come e quando”.
La speranza è alimentata questa volta non da fumose promesse ma da impegni che verificheremo e di cui valuteremo l’efficacia tenendo sotto controllo l’evoluzione dei dati della ricostruzione.

Le macerie pubbliche a fine luglio 2020

Nelle Marche sono state raccolte 794 mila tonnellate di macerie, ne rimangono da rimuovere circa 150 mila, diffuse per lo più nell’ascolano. Rimane problematica la rimozione delle macerie a Pescara del Tronto (oltre 40 mila tonnellate). Nel Lazio sono state rimosse circa 1.370.000 tonnellate, circa 80 mila tonnellate in più rispetto a quelle inizialmente stimate. Rimangono però ancora da rimuovere le macerie rivenienti da circa 240 edifici di interesse storico-culturale nei Comuni di Amatrice e Accumoli e nelle loro frazioni. In Umbria le macerie rimosse sono state oltre 133 mila, ma aspettano ancora di essere rimosse 20 mila tonnellate. In Abruzzo, regione che ha iniziato a rimuovere le macerie solo ad aprile 2018, l’ultimo dato disponibile risale al 31 dicembre 2019, e indica poco più di 65mila tonnellate su una stima iniziale di circa 150 mila tonnellate. Al 31 dicembre 2019 è scaduto il contratto con cui la regione Abruzzo ha dato incarico all’azienda Aciam e non è dato sapere chi e come se ne stia occupando. Rimangono quindi da rimuovere circa 300 mila tonnellate rispetto al totale delle macerie stimate inizialmente, pari a poco meno di 2.700.000 tonnellate. Ci aspettiamo uno sforzo affinché la rimozione di tutte le macerie di competenza del pubblico si concluda entro il 2020 e si recuperi il ritardo accumulato con il lockdown e con svariati intoppi, alcuni surreali, a cui abbiamo assistito nel tempo. Da giugno scorso la gestione delle macerie pubbliche è passata dalla Protezione Civile alla Struttura del Commissario straordinario. Sarebbe utile che il Commissario riuscisse a ricostruire il dato degli inerti riciclati e ri-utilizzati, considerato che non meno del 98 per cento delle macerie è costituito da inerti riciclabili. Bisogna attrezzarsi perché si crei una filiera industriale innovativa ispirata all’economia circolare, invece di utilizzare discariche per lo smaltimento e ridurre al minimo l’uso di materiale vergine per la ricostruzione. Recuperare questi dati tornerà utile per riuscire a governare la gestione delle macerie private, che saranno almeno il triplo di quelle pubbliche. Ad oggi il problema delle macerie provenienti dalla ricostruzione privata è a carico dei singoli. Senza una pianificazione del pubblico e indirizzi precisi si rischia che una tale quantità di macerie non sia gestita correttamente, a danno della salute e dell’ambiente, e che si sprechi l’occasione del riutilizzo degli inerti, anche incrementando la ricerca per nuovi materiali. Una ricostruzione di qualità passa anche da queste innovazioni.

I progetti presentati

Dai dati presentati dalla struttura commissariale, riferiti al 30 giugno scorso, su oltre 80 mila edifici danneggiati, quindi altrettanti domande potenziali di contributo da parte dei privati cittadini, quelle presentate sono circa 14 mila, pari al 17 per cento. Delle 14 mila domande presentate, quelle accolte sono 5.325 (il 6,6 per cento) e gli edifici riparati 2.544 (poco più del 3 per cento). Già l’anno passato abbiamo dato l’allarme per il numero esiguo dei progetti presentati che allora si attestava a 9.760 (dati Osservatorio sisma), perché a nostro parere era sintomo della scarsa fiducia delle popolazioni nella ricostruzione. Denunciavamo il circolo vizioso in cui eravamo: “la ricostruzione fa fatica a partire, i progetti presentati sono pochi, quindi si concedono le proroghe (dell’emergenza, dei termini di presentazione delle domande di contributo) che non fanno che alimentare la richiesta e l’attesa di un’altra proroga o di un altro intervento normativo”. Per tale ragione è da scongiurare un’ulteriore proroga dei termini, a partire da quella per la presentazione delle domande per danni lievi fissata al 20 settembre prossimo. Ogni proroga non fa altro che posticipare la presentazione dei progetti e costa non poco alle casse dello stato per finanziare l’assistenza delle persone che non possono rientrare a casa.
Quanto alle opere pubbliche, dati della struttura commissariale al 30 giugno scorso, su 1.405 opere finanziate, per 86 i lavori sono stati conclusi e per 85 sono stati aperti i cantieri. Tra le opere per cui sono stati conclusi i lavori, 14 riguardano edifici scolastici sui 21 la cui realizzazione è stata affidata alla gestione commissariale e che sarebbero dovuti essere finiti in tempo per l’apertura dell’anno scolastico 2017-2018. Le difficoltà per le scuole sono ulteriormente aumentate dopo il Covid, creando un’emergenza nell’emergenza.

Controlli di legalità, monitoraggio, controllo sociale

Il decreto “semplificazioni” ha introdotto ulteriori deroghe agli appalti e agli strumenti urbanistici e previsto poteri speciali per il Commissario. Di per sé, né le deroghe né i poteri speciali garantiscono la buona realizzazione delle opere. Ci auguriamo che i Comuni e il Commissario ne facciano un buon uso. La quantità e la qualità dei controlli, oltre a un serio monitoraggio, saranno fondamentali per evitare sprechi, per contrastare infiltrazioni della criminalità e lavoro nero e irregolare. La qualità del lavoro è strettamente legata alla qualità del costruito per garantire sicurezza ai lavoratori e a chi abiterà gli edifici ricostruiti. Il dato positivo registrato da Fillea Cgil è, dopo numerose resistenze e ritardi, l’avvio a regime del Durc di Congruità (il documento che certifica la regolarità contributiva e la congruità della manodopera utilizzata in rapporto al valore delle opere da eseguire). A fine luglio le richieste pervenute al sistema delle casse edili sono state oltre 340 per un costo dichiarato della manodopera di oltre 11 milioni di euro, contro le 110 circa richieste di febbraio 2020 e tre milioni di costo della manodopera dichiarati. Un dato però insufficiente rispetto al numero dei cantieri aperti. Il Commissario Legnini ha dimostrato finora consapevolezza circa la necessità di mettere in campo efficaci e sinergici strumenti di controllo. Aggiungiamo che una buona prevenzione la si fa garantendo sia la qualità della progettazione delle opere e della pianificazione urbanistica sia le condizioni perché ci sia un costante e informato controllo sociale.
Ad oggi la fruibilità delle informazioni, e di conseguenza la trasparenza, continua a essere ai minimi termini. Non si può realizzare il più grande cantiere pubblico finanziato già con nove miliardi di fondi pubblici, e si stima ne servano almeno altri dieci, dando conto con occasionali e difformi report istituzionali. Non esiste nessuno strumento informatico che monitori e informi sulla gestione delle macerie. L’informazione sul recupero, la conservazione e il restauro dei beni culturali sottratti alle macerie è un buco nero. Non è dato sapere quante sono le sanatorie degli abusi edilizi. La stessa due diligence sullo stato della ricostruzione operata da Invitalia per conto della struttura commissariale non può evitare di evidenziare l’impossibilità di operare una ricognizione completa della ricostruzione per incompletezza dei dati, l’uso di diversi sistemi informativi, disomogenei per le diverse Pubbliche Amministrazioni e scollegati tra di loro. Questa situazione si riflette sulla possibilità di fare previsioni e gestire al meglio il grande cantiere della ricostruzione e rende faticoso il monitoraggio civico, necessario per una partecipazione attiva e consapevole. Ci auguriamo che nei prossimi mesi si metta fine a questa opacità e si provveda a realizzare un serio monitoraggio, a organizzare le informazioni e renderle fruibili secondo i principi dell’open data e dell’open government.

Accelerare l’infrastruttura digitale

È facile immaginare quanto sia stato ancora più pesante vivere l’emergenza sanitaria nelle casette prefabbricate o persino nei container. Finora è stata posta attenzione solo sulle infrastrutture tradizionali. La pandemia ha dimostrato che per quelle comunità, studenti, lavoratori, imprese, enti locali è altrettanto importante avere l’infrastruttura della banda ultra larga. A maggio scorso su 138 Comuni inseriti nel cratere solo in uno era stata collaudata la banda ultra larga e resa disponibile per gli operatori, mentre 5 comuni erano in fase di collaudo (dati Osservatorio sisma). La connessione digitale deve diventare uno strumento per facilitare la creazione di filiere produttive, strumento per valorizzare vasti territori e non solo i singoli Comuni in modo frammentato, deve facilitare la connessione tra Comuni e la condivisione delle loro risorse. Perché questo accada c’è bisogno di accelerare la realizzazione dell’infrastruttura contemporaneamente alla ricostruzione, garantire l’accesso a tutti, mettere in condizioni le comunità di appropriarsene e di saper utilizzare le potenzialità del digitale.

Il futuro dell’Appennino

La ricostruzione fisica degli edifici e delle infrastrutture però non basterà per contrastare lo spopolamento di questi territori, messi a dura prova dal sisma e dall’emergenza coronavirus. Serve un forte e diffuso impegno per rilanciare e rivitalizzare l’economia, puntando sullo sviluppo sostenibile locale, valorizzando le grandi potenzialità e ricchezze dell’Appennino. L’interesse e la necessità per il nostro Paese, dopo la pandemia, di stabilire un nuovo equilibrio tra i grandi centri urbani e i preziosi piccoli comuni delle aree di montagna, hanno un banco di prova proprio nella ricostruzione della vastissima area colpita dal sisma. Serve mobilitare intelligenze, professionalità, partecipazione e impegno di tutti e dal basso.

Una sfida di tale portata deve essere centrale nella programmazione del Recovery Plan e nel Piano di Green Deal.

Maria Maranò, Segreteria Nazionale Legambiente