A tre anni dalle scosse continua a mancare trasparenza delle informazioni. Necessario un governo che metta in agenda visione di futuro e ricostruzione di qualità.
Dopo tre anni dal primo evento sismico del 2016 la macchina della ricostruzione cammina troppo lentamente, procede a singhiozzi e, soprattutto, c’è ancora tanta confusione. Il necessario cambio di passo promesso dal governo M5S-Lega non si è visto. Lo stanno a testimoniare i dati impietosi dei progetti presentati dai cittadini per ricevere il contributo, oltre, purtroppo, alle continue polemiche e rimpallo di responsabilità e inefficienze tra livelli istituzionali, strutture commissariali, professioni tecniche.
Su circa 73 mila edifici dichiarati inagibili le domande dei privati cittadini per ricevere il contributo sono circa 10 mila, pari a poco più del 13 per cento, e presso le Casse Edili i cantieri avviati negli ultimi mesi sono poche centinaia. E’ un dato sintomo non della lentezza della burocrazia, che pure c’è, ma della scarsa fiducia delle popolazioni nella ricostruzione.
Un ritardo che, è bene ricordare, rischia di alimentare lo spopolamento di tanti piccoli Comuni dell’Appennino centrale oltre a far lievitare enormemente il costo per l’assistenza della popolazione priva di casa; si pensi solo alle centinaia di milioni che spendiamo per pagare il fitto alle migliaia di famiglie che hanno la casa inagibile (CAS).
Nonostante la sovrabbondanza di interventi normativi (decreti e ordinanze), richiesti dalla politica, dai tecnici, dagli esperti, dalle Amministrazioni Locali, alcuni sacrosanti altri contraddittori o fatti per sanare situazioni alla meno peggio, il quadro normativo viene ritenuto ancora insufficiente. Siamo caduti in un circolo vizioso: la ricostruzione fa fatica a partire, i progetti presentati sono pochi, quindi si concedono le proroghe (dell’emergenza, dei termini di presentazione delle domande di contributo) che non fanno che alimentare la richiesta e l’attesa di un’altra proroga o di un altro intervento normativo. Da qui lo stallo e la confusione unanimemente riconosciuti, a cui fanno seguito polemiche e rimpallo delle responsabilità tra le diverse istituzioni. Si compensa con l’assistenza e le proroghe il mancato avvio della ricostruzione.
Ci chiediamo, forse il problema sta da un’altra parte? Forse è mancato e continua a mancare un segnale politico forte che arrivi a tutti e convinca le popolazioni colpite che la Ricostruzione deve partire e che tutti devono impegnarsi: in primis governi centrali regionali e locali, ma anche tecnici e rappresentanze della società civile. Continua a mancare un’idea di futuro di quelle aree interne, accompagnata da un progetto di sviluppo di economia locale che sappia coniugare le tante risorse naturali e culturali con la necessaria innovazione per rendere quelle terre attrattive per i giovani, offrendo loro opportunità di lavoro e di studio.
E’ tempo di promuovere un vero dibattito pubblico, qualificante e non burocratico, coinvolgendo le popolazioni, le istituzioni locali, le Regioni, le associazioni sociali e sindacali. Per uscire dallo stallo serve valorizzare le energie che vengono dal basso per recuperare e rilanciare l’impegno corale per costruire nuove comunità, dandosi strumenti che aiutino i piccoli Comuni ad affrontare questa sfida impegnativa. Sono tante le criticità da affrontare: l’economia, il lavoro, la sicurezza, la legalità, la qualità della ricostruzione, le zone rosse ancora con le macerie, la gestione delle macerie private. Se lasciamo il tutto nelle mani della burocrazia, senza una spinta ideale e una visione del futuro, è probabile che fra 2-3 decenni le case siano di nuovo in piedi ma nella desertificazione sociale ed economica. E serve pianificazione e programmazione, finora grandi assenti.
E si garantisca la trasparenza e la fruibilità delle informazioni. Siamo al terzo anno e sul fronte della trasparenza non si è visto nessun miglioramento, anzi. E’ stata per lo più disattesa la normativa introdotta nel 2012 e 2013 sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. La trasparenza, le informazioni ben organizzate e fruibili, la rendicontazione e la pubblicazione dell’utilizzo dei fondi pubblici, secondo i principi dell’open data e dell’open government, aiuterebbero la cooperazione tra istituzioni, territori, società civile, e faciliterebbero il monitoraggio civico per una partecipazione attiva e consapevole.
Ma è disattesa anche la norma che ci siamo conquistati con un emendamento al DL 55/2018 (Art. 1-quinquies) convertito nella L. 89 del 24 luglio 2018, che ha previsto che entro 45 giorni dalla data di approvazione della legge (entro il 7 settembre 2018), da aggiornare trimestralmente, il Commissario Straordinario avrebbe dovuto “predisporre e pubblicare le linee guida contenenti l’indicazione delle procedure e degli adempimenti connessi agli interventi di ricostruzione”. Linee guida necessarie per i cittadini e per i tecnici per districarsi nella babele di Ordinanze e Norme, anche contraddittorie.
Non esiste ancora un monitoraggio complessivo della ricostruzione né della raccolta e gestione delle macerie. Per avere le informazioni bisogna contare sulla disponibilità dei funzionari regionali ed ogni Regione usa metodi di elaborazione diversi. L’unica Regione che ha un sito da cui è possibile verificare la (sola) raccolta delle macerie è le Marche. Eppure, lo Stato italiano ha già finanziato una piattaforma per verificare in tempo reale la rimozione delle macerie pubbliche e private e la loro destinazione per le aree colpite dal terremoto del 2009 (http://www.maceriesisma2009.it/). Perché non viene utilizzata per gli altri terremoti che si sono succeduti dal 2009? Perché non si utilizzano le buone pratiche realizzate negli anni?
Sono passati otto mesi in cui la raccolta delle macerie in Umbria si è fermata per incomprensioni tra il Commissario e la Regione Umbria. La Regione Marche a inizio luglio ha lanciato un allarme pubblico sul rischio di sospendere la raccolta delle macerie per la mancanza di fondi disponibili da parte del Governo. Con il lento avvio della ricostruzione privata si è già presentato il problema della gestione delle macerie private, molte più di quelle pubbliche. Senza una pianificazione, un indirizzo sia ministeriale che regionale si rischia che non siano gestite correttamente, a danno della salute e dell’ambiente, e che non si avvii una filiera industriale del recupero e riutilizzo degli inerti.
Le Regioni non hanno provveduto a elaborare il provvedimento per disciplinare la partecipazione delle popolazioni al processo di ricostruzione come previsto dal DL 189/2016 e dall’Ordinanza n.36 del 2017. Per fortuna qualche Comune volenteroso ha provveduto a dotarsi di un Regolamento.
E’ positivo che il Commissario Straordinario nel mese di giugno abbia confermato l’utilizzo del Documento Unico di Regolarità Contributiva di Congruità (DURC) e del Settimanale di cantiere (strumenti fondamentali per prevenire il lavoro sommerso e irregolare), superando l’incertezza che si è trascinata per circa un anno.
Il passaggio disordinato da una governance centralizzata ad una decentralizzata ai Comuni (nella stragrande maggioranza dei casi sono Comuni piccoli) non cambierà la situazione se non vengono dotati di personale competente e se non si facilita l’aggregazione tra di essi, per mettere insieme le risorse e progettare il futuro di quei territori. La scelta di delegare alle Regioni e ai Comuni deve essere accompagnata da un impegno forte di indirizzo e di coordinamento delle istituzioni centrali.
Abbiamo già visto lavoro nero, irregolare, intermediazione illecita di manodopera, subappalti irregolari, norme di prevenzione e sicurezza sul lavoro non rispettate. Devono essere rafforzati i controlli e resi accurati, duraturi e frequenti; i fatti dimostrano che solo le cose fatte bene, con la collaborazione di tutti, nel rispetto della legalità e della trasparenza, ci garantiscono tempi di realizzazione certi, qualità del lavoro e delle opere.
Come si evince da questi pochi esempi, tanta responsabilità non è della burocrazia, concetto divenuto metafisico e inafferrabile, ma dalla volontà politica.