Il terremoto continua, la rinascita stenta. Questa in estrema sintesi la condizione che ci troviamo a vivere a distanza di 20 mesi nel territorio dell’Italia centrale colpito dagli eventi sismici.
La regione Marche, dove c’è la massima concentrazione dei danni, patisce più di altre una difficile ripresa. Oggettivamente hanno pesato l’ampiezza del territorio colpito e i ripetuti eventi sismici su un’area interna già fortemente in crisi per via del continuo spopolamento e della conseguente perdita di servizi al territorio ed alla persona.
Alle difficoltà oggettive si è aggiunta però una gestione della fase definita “post-terremoto” (che purtroppo come risulta dalle continue scosse anche recenti non è affatto “post”) caratterizzata da eccessiva confusione che continua a frustrare le legittime aspettative dei Cittadini e dei Comuni.
Il cammino del decisore pubblico è stato ondivago, spesso contraddittorio e non ha saputo indicare la direzione verso cui muoverci. Troppe indecisioni che naturalmente hanno alimentato incomprensioni e atteggiamenti di insofferenza da parte delle popolazioni.
La sovrapproduzione normativa fatta di Decreti Legge (con le tensioni che si creano nelle conversioni in Legge), successive modifiche, Ordinanze Ministeriali, Ordinanze Commissariali, circolari esplicative di vari Soggetti istituzionali non hanno aiutato nella comprensione del percorso per superare l’emergenza e affrontare la ricostruzione.
Basti pensare che a fronte di un’organizzazione accentrata, definita nella fase di avvio con il D.L. 189/2016, si è passati ad una organizzazione sostanzialmente delegata ai Comuni, producendo norme spesso in contrasto tra di loro (ancora!). Nella fase iniziale, all’Ufficio Speciale per la Ricostruzione Regionale (USR) erano stati affidati numerosi compiti: provvedere alla pianificazione attuativa ai fini ricostruttivi; redigere i progetti delle opere pubbliche; provvedere all’appalto delle stesse; provvedere all’esame delle pratiche edilizie; provvedere alla quantificazione dei contributi da assegnare. Attualmente il compito rimasto in capo agli USR è la sola definizione dell’importo del contributo da assegnare ad ogni singolo intervento.
Nonostante lo sgravio di importanti compiti passati ai Comuni si è scelto di rafforzare l’USR con ulteriori unità lavorative mentre i Comuni, a fronte delle nuove incombenze, non hanno visto rafforzati i propri organici.
A fronte di un significativo alleggerimento di compiti, la gestione dell’USR delle Marche non è migliorata diventando di fatto uno degli elementi che ostacolano l’avvio della ricostruzione. Per esempio, non si è provveduto a formare adeguatamente il personale, per cui solo una piccola parte di esso ha la necessaria esperienza per gestire, con efficienza ed efficacia, le attività procedurali e burocratiche.
Al netto delle ulteriori difficoltà che si aggiungono per le scosse di questi ultimi giorni, a mio parere le problematiche che vanno subito affrontate sono le seguenti:
Sarebbe utile ripensare il funzionamento dell’Ufficio Speciale della Ricostruzione che, a mio avviso, dovrebbe essere posto, realmente, al servizio dei Comuni terremotati, per facilitarne e semplificarne le attività e non per creare inutili orpelli burocratici. E’ capitato che alle stesse domande l’USR abbia dato risposte multiple e diverse.
Sarebbe sufficiente redigere delle “Linee Guida” sulle varie tematiche procedurali e progettuali, coerenti e chiare, per semplificare il lavoro dei professionisti, degli enti locali, dello stesso USR.
Quanto agli abusi edilizi che vengono riscontrati su molti immobili lesionati, sia con “danni lievi” che con “danni gravi”, è necessario che il decisore pubblico provveda a fare una riflessione profonda e seria e dia indicazioni precise a chi nei Comuni deve assumersi la responsabilità di approvare i progetti. Se è inaccettabile che siano sottovalutati o non considerati gli abusi su un immobile lesionato è altrettanto grave che la presenza di abusi “leggeri” o di modesta entità precludano l’accesso ai contributi per la riparazione del danno.
Per contribuire a bloccare lo stallo che si è creato, è urgente dare indicazioni chiare ai professionisti e ai Comuni su come e quando può essere espresso un parere positivo, in occasione di accertamento di conformità, magari “graduando” il tipo di abuso edilizio ed individuando una sorta di riduzione del contributo pubblico per il danno occorso. E’ anche necessario individuare quali tipi di abuso possano essere sanati più facilmente, quelli che necessitano di un percorso più approfondito e coerente, quelli che non possono essere sanati.
Oggi il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, a seguito di accertamento di conformità effettuato ai sensi dell’art. 36 del DPR 380/01, in sostanza è subordinato alla verifica della doppia conformità delle opere oggetto della sanatoria: verifica di conformità rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al tempo della esecuzione delle opere e quella al momento della presentazione della domanda di accertamento in sanatoria. Il decisore pubblico, in alternativa, potrebbe chiarire se tutte le norme debbono essere rispettate egualmente o se vi sia una differenziazione tra le stesse (ed es.: sismica; tematiche ambientali; acustica; termica; ecc.).
Altre osservazioni sulle motivazioni che non ci stanno aiutando nella fase “post-evento” ad andare nella giusta direzione possono essere sinteticamente ricondotte a:
Su tutto però c’è un problema di fondo che a mio avviso implica una perdita di tempo inaccettabile, rispetto alle fasi dell’organizzazione delle attività ricostruttive, ed è la mancanza di una sorta di “Testo Unico delle Calamità” che, da solo, porrebbe le basi per un ordinato svolgimento delle procedure in occasione di qualsiasi calamità dovesse accadere.
E’ infatti quanto mai curioso che nel nostro Paese, ottava potenza economica mondiale, con un territorio fragile e difficile dove si registra una calamità (terremoti, alluvioni, eruzioni, ecc.) quasi semestralmente, dove abbiamo “testi unici” in tanti settori (edilizia; ambiente; sicurezza sul lavoro; sanità; ecc.), non si disponga di un “Testo Unico delle Calamità” che sicuramente ridurrebbe (almeno) il dibattito del “come fare”, “come agire”, “in base a quale modello”, e darebbe delle direttive certe e verificabili per ciascuno.
Questo sarebbe utile, poi, anche al funzionamento di un eventuale struttura speciale che possa essere istituita a favore del miglioramento gestionale della fase “post-evento calamitoso”, indirizzandone i comportamenti, le azioni, i processi, con l’obiettivo di una più alta efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.
Queste poche note mi appaiono utili a rappresentare lo stato dell’arte rispetto all’evento sismico che si è attivato nell’Italia centrale a partire dal 24 agosto 2016, e che, purtroppo, sembra non essersi ancora concluso, unitamente ad alcune telegrafiche osservazioni frutto dell’esperienza sul campo che, se approfondite, potrebbero migliorare l’azione pubblica relativa alla cosiddetta “ricostruzione”.
scritto da Pier-Giuseppe Vissani – Urbanista, Tecnico comunale