Una risposta sbagliata ad un obiettivo giusto

La storia di Castel di Luco,  un progetto buono  incastrato nella rete della burocrazia, nell’articolo di di Maria Maranò,  Segreteria nazionale di Legambiente 

Francesco è proprietario insieme alla famiglia di Castel di Luco, di una dimora storica situata vicino il borgo di Paggese, frazione di Acquasanta Terme. Un castello fortezza che sorge su uno sperone roccioso di travertino, dominando l’antica Via Salaria e un paesaggio di straordinaria bellezza. Francesco più che proprietario si considera un custode di questo bene medievale. Mi colpisce il suo racconto perché è una delle tante storie delle aree del cratere che si scontrano, a mio parere, con il buon senso.

Già prima del terremoto Francesco pensava di attrezzare il piano superiore del castello, abitato dalla famiglia, per accogliere i turisti. Racconta che tale investimento avrebbe reso più conveniente la gestione del ristorante rifornito dai prodotti dell’azienda agricola di famiglia e fatto fare un salto di qualità nella capacità ricettiva.  

Con il terremoto del 24 agosto il castello viene danneggiato gravemente e le attività ricettive e gastronomiche sospese. Francesco si fa carico della messa in sicurezza della struttura per evitare che le continue scosse provochino crolli. Da lontano è possibile vedere il castello sostenuto dai ponteggi e una gru.

Dovendo ricostruire, Francesco ha pensato di cogliere l’occasione per realizzare il progetto di ricezione turistica facendosi carico dei costi aggiuntivi. Ha bisogno di un cambio di destinazione d’uso che però non gli viene concesso: un’ordinanza commissariale vieta che ci possa essere una vendita o un cambio di destinazione d’uso nei due anni successivi alla data di ultimazione degli interventi finanziati con risorse pubbliche. L’obiettivo di tali divieti è quello di prevenire abbandoni e speculazioni. L’obiettivo in principio è più che giusto, nella realtà il principio viene contraddetto.  

L’investimento della famiglia di Francesco non solo è contro l’abbandono ma punta a creare sviluppo turistico di qualità in quelle aree che da anni subiscono un pesante spopolamento. Né si può pensare che la famiglia di Francesco, insediata da secoli in quel luogo, possa speculare.   

E così, con le norme attuali, quando il progetto di ricostruzione sarà approvato (l’iter di approvazione è una storia a sé da raccontare) Francesco dovrà ricostruirlo com’era prima del terremoto, dopo due anni chiedere il cambio della destinazione d’uso, rimettere ponteggi e gru e rifare i lavori.

Mi chiedo: possibile che non si riescano a trovare norme e procedure che evitino ai furbi di approfittare delle risorse pubbliche senza però costruire gabbie normative che paralizzano la ricostruzione fisica ed economica? Possibile che non abbiamo le competenze e le strutture per selezionare i buoni e i cattivi progetti? In assenza di ciò, il paravento della burocrazia aiuta.

Maria Maranò, Segreteria Nazionale Legambiente